domenica 12 giugno 2011

I padri della Sirena - Giovanni Pascoli

Una premessa è d'obbligo, sarà fatta solo qui, ma la riteniamo utile e importante.

Chi sono i padri delle Sirene? "Uno, nessuno e centomila", direbbe Pirandello.

A differenza di molti altri miti, infatti, quello delle Sirene manca di una vera e propria versione ufficiale, tanto è vero che già il primo autore che le mostrava, Omero, non sentiva il bisogno di presentarle.
Anzi, le riteneva così note al suo pubblico da escluderle volontariamente dalla curiosità di Odisseo che a Circe (che pure gli ha parlato delle Sirene mettendole al primo posto tra i pericoli) l'eroe preferisce chiedere di Cariddi e non delle tre vergini ammaliatrici.

Nei secoli i letterati più vari e famosi si sono accostati al mito delle Sirene senza una versione di riferimento, quindi con la massima libertà e coscienza, così da esprimere senza alcun tipo di vincolo la propria cultura e sensibilità, diventando ognuno "padre" della leggenda che aveva creato.

Quindi, oltre al padre mitico (Acheloo, come sappiamo) e a quello "putativo" (Omero, che mette in scena delle figure che egli stesso sa benissimo di non aver creato), le Sirene possono vantare come padri tutti coloro che hanno contribuito al loro mito perenne, ognuno mettendo un pezzetto di sè.

In pratica questi autori, ognuno con le proprie Sirene, hanno non solo fatto crescere il mito e la figura di queste vergini (e infatti, etimologicamente "autore" vuol dire proprio "colui che accresce") ma ci hanno regalato pezzi d'arte che restano nella storia della letteratura e che noi del blog "Sirena Partenope" riproporremo, un capitolo alla volta, per voi.
Vi auguriamo una buona lettura.
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Sotto un certo punto di vista, le Sirene sono un mito piuttosto "infantile": fantastiche il giusto (metà donna e metà pesce) e senza alcuna ragione per essere create se non la loro stessa esistenza (non scoprono niente, come invece fa Prometeo con il fuoco, non inventano niente, come Dioniso col vino, non spiegano niente, come Dedalo col labirinto. In questo occupano un posto speciale tra i miei greci).

Non stupisce, quindi, che un poeta che ha conservato in sè la capacità di stupirsi e di scoprire propria dei fanciulli abbia ceduto al fascino delle tre sorelle vergini.
Bellissime, e al contempo letali, unione di amore sensuale e morte, icone del mito classico capaci di vivere nel moderno: per il fanciullino di Pascoli, e per la sua concezione di poeta, un richiamo irresistibile, celebrato nei "Poemi conviviali"

   Giovanni Pascoli, Poemi Conviviali, "L'ultimo viaggio", cap. XXI, "Le Sirene"

Indi più lungi navigò, più triste.
E stando a poppa il vecchio Eroe guardava
scuro verso la terra de’ Ciclopi,
e vide dal cocuzzolo selvaggio
del monte, che in disparte era degli altri,
levarsi su nel roseo cielo un fumo,
tenue, leggiero, quale esce su l’alba
dal fuoco che al pastore arse la notte.
Ma i remiganti curvi sopra i remi
vedeano, sì, nel violaceo mare
lunghe tremare l’ombre dei Ciclopi
fermi sul lido come ispidi monti.
E il cuore intanto ad Odisseo vegliardo
squittiva dentro, come cane in sogno:
Il mio sogno non era altro che sogno;
e vento e fumo. Ma sol buono è il vero.
E gli sovvenne delle due Sirene.
C’era un prato di fiori in mezzo al mare.
Nella gran calma le ascoltò cantare:
Ferma la nave! Odi le due Sirene
ch’hanno la voce come è dolce il miele;
ché niuno passa su la nave nera
che non si fermi ad ascoltarci appena,
e non ci ascolta, che non goda al canto,
né se ne va senza saper più tanto:
ché noi sappiamo tutto quanto avviene
sopra la terra dove è tanta gente!
Gli sovveniva, e ripensò che Circe
gl’invidiasse ciò che solo è bello:
saper le cose. E ciò dovea la Maga
dalle molt’erbe, in mezzo alle sue belve.
Ma l’uomo eretto, ch’ha il pensier dal cielo,
dovea fermarsi, udire, anche se l’ossa
aveano poi da biancheggiar nel prato,
e raggrinzarsi intorno lor la pelle.
Passare ei non doveva oltre, se anco
gli si vietava riveder la moglie
e il caro figlio e la sua patria terra.
E ai vecchi curvi il vecchio Eroe parlò:
"Uomini, andiamo a ciò che solo è bene:
a udire il canto delle due Sirene.
Io voglio udirlo, eretto su la nave,
né già legato con le funi ignave:
libero! alzando su la ciurma anela
la testa bianca come bianca vela;
e tutto quanto nella terra avviene
saper dal labbro delle due Sirene."
Disse, e ne punse ai remiganti il cuore,
che seduti coi remi battean l’acqua,
saper volendo ciò che avviene in terra:
se avea fruttato la sassosa vigna,
se la vacca avea fatto, se il vicino
aveva d’orzo più raccolto o meno,
e che facea la fida moglie allora,
se andava al fonte, se filava in casa.


Giovanni Pascoli (1855 - 1912) è stato uno dei più originali e innovatori tra i poeti italiani. Credeva la poesia fosse fine a se stessa e servisse, per chi la poteva scrivere, ad analizzare il proprio "nido", ovvero non solo le piccole cose che viviamo ma anche le enormi angosce che ci portiamo dentro.
Le novità che lui apporta al mito sono la profonda solitudine di Ulisse, la sua scelta dissacrante e il qualunquismo del pensiero dei compagni davanti alla conoscenza offerta dalle Sirene.

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